“L’albero di canto” nasce da una nostra vecchia idea: tentare di visualizzare gli stimoli offerti dal materiale sonoro di danze e ballate tradizionali.
Questo non solo perchè il mondo popolare da sempre non conosce una effettiva distinzione tra il suono, la parola e il gesto ma li collega tutti nell’espressione di momenti rituali, ma sopratutto perchè questi stimoli sonori, via via, ci facevano intravvedere la possibilità di ricreare un mondo chiuso dietro le nostre spalle.
Un mondo che non vuole essere il semplice frutto di cittadini che immaginano antiche epoche felici, magari per sfuggire alle proprie nevrosi quotidiane, ma neppure un mondo di vinti, di testimoni impotenti di fronte alle cose che mutano senza nemmeno esserne coscienti.
Questo lavoro nasce anche da una sfida:dimostrare al pubblico, ai ragazzi ed anche a noi, che nonostante i condizionamenti di mode da “consumare" esistono degli elementi così semplici, così immediati che ancora ci possono toccare realmente e che le nostre tradizioni non sono altro che le forme scelte lungo il filo delle generazioni per raccontare e tramandare questi elementi.
Gli eventi che si susseguono attorno all’albero di canto sono antichi come il mondo; il mutare delle stagioni, l’incontro tra un uomo e una donna, la festa, il lavoro, il dolore. L’elemento drammatico è quello che più di ogni altro caratterizza le ballate del nord Italia; gli antichi tradimenti di principesse, re e regine, l’onore cancellato nel sangue, la morte e il disonore, sono storie di anni lontani ma che vengono riproposte, in tutta la loro drammaticità, come simboli di sentimenti universali.
Dal punto di vista musicale “l’albero di canto” presenta una rielaborazione di materiale sonoro del nord Italia, piemontese in particolare.
Le canzoni e le ballate sono in dialetto, poichè abbiamo creduto di non operare traduzioni che falsino le immagini e le assonanze di un vecchio linguaggio, che nel contesto scenico diviene di immediata comprensione, come se fosse anch’esso un gioco da inventare, per chi vuole ancora inventare.
Possiamo dire che ritroviamo nello spettacolo i diversi tipi di canto popolare: la ballata epico-narrativa (Cecilia, Leandra), il lamento (Sun si descunsulà), la canzone burlesca (Il maritino, Mare mia marideme), il canto legato ad un momento rituale (Il maggio, Cinquecento Catenelle d’oro), la canzone sacra (La luna e ‘l sul), il canto di lavoro (J asiàu) e ancora danze di carnevale e di matrimonio, ballate di nostra composizione che ricalcano questi modelli tradizionali.
Gli strumenti usati sono gli strumenti semplici della tradizione: voci, chitarra, violino, mandolino, flauti ed ancora percussioni ed effetti acustici in un tentativo di “segnare” le atmosfere diverse solamente con l'apporto di momenti musicali.
Questo lavoro vuole essere un punto di partenza, un tentativo di unire antiche leggende alle storie del tempo presente, musiche vecchie e musiche nuove, luoghi e tempi perduti e ritrovati in una storia che sono mille storie senza buoni né cattivi, senza eroi e senza maghi.
Un tentativo di fondere insieme culture e linguaggi che vivono lo spazio di un gioco che è teatro e musica, ma che possono ancora esistere nella memoria di chi ricorda e nella fantasia di chi vuole imparare.